Archivio Anno Zero

La riflessione di Archivio Anno Zero inizia dal viaggio come espressione dell’essere insieme. Come in ogni cosa, anche qui siamo partiti da un piano molto concreto dell’esperienza: quando ci vediamo? Dove ci incontriamo?

Innanzitutto, dunque, c’è stata la ricerca di una sincronicità collettiva di cui io sono stata, in qualche modo, il crocevia mobile. Intercettare disponibilità nelle agende, segnare date, concordare tramite Eleonora (la nostra preziosa organizzatrice) orari di arrivo e partenza è stato il nostro primo contatto, come una prima accordatura musicale. La mobilità ha permesso che la base del progetto continuasse a rinnovarsi, mese dopo mese, nell’incontro che avveniva in luoghi quasi ogni volta diversi. Che si trattasse dello spazio scarno di una sala prove, di un foyer o del tavolino di un bar, ho incontrato tutti gli artisti in spazi che si sono sempre rivelati aperti ad accogliere il nostro lavoro. Insieme, abbiamo condiviso la dimensione dell’essere sempre, quasi sempre, altrove.

Il tempo è stato un compagno di viaggio e di studio costante. Così lo sguardo, lanciato oltre e al di là delle dimensioni temporali, si presentava ai nostri incontri come una dimensione già materiale. Ci siamo sentiti animal laborans, a volte, nella consapevolezza di non avere mai abbastanza tempo da offrire all’ascolto dell’eco di ciò che è appena accaduto, delle nostre danze; tuttavia, siamo anche stati in ascolto di un tempo rarefatto, che ci ha portati a parlare di noi stessi come si parla di un oggetto di studio. La misura dello sguardo sul presente, insieme alla misura della distanza dall’oggetto “memoria”, si è rivelata un processo autonomo, che noi guidavamo da fuori attraverso il filtro della nostra presenza.

Archivio Anno Zero è, tanto nella pratica quanto nel suo racconto, un archivio di pratiche ancorate nell’incontro e nello stare insieme. A Bologna, nei giorni di residenza presso Ateliersi, metteremo alla prova il senso della presenza con la prossimità dei nostri corpi. Entreremo nell’archivio, oppure ci lasceremo attraversare da una memoria ancora nuova.

 Gaia Clotilde Chernetich

Uno spazio di desiderio

Archivio Anno Zero è nato per la volontà di inaugurare uno spazio di desiderio.

L’intreccio tra il presente continuo della danza e la sua dimensione memoriale hanno trovato uno spazio che concede loro il tentativo di declinarsi in maniera inaspettata attraverso diversi ribaltamenti di prospettiva. Il progetto è nato per la volontà di conoscere, di conoscersi e di tenere traccia del tempo e dei suoi accadimenti. La proposta di iniziare a curare un progetto di archiviazione delle pratiche coreografiche ha incontrato il mio desiderio di addentrarmi in prima persona in una dimensione di coesistenza tra passato e futuro.

La prima parola chiave è, quindi, desiderio.

 Il primo passo è stato quello di immaginare un glossario che aggiornasse, attraverso l’osservazione delle pratiche degli artisti VAN, la questione della memorabilità e della futurabilità del loro lavoro. Così sono stata accolta da tutti loro in sala prove, nel corso del 2018, per provare a ragionare insieme su quella nuvola di concetti che emanano dalla questione dell’archivio.

Gli incontri hanno portato, settimana dopo settimana, alla raccolta di diverse tipologie di materiali, sonori, visivi, verbali. Archivio Anno Zero indaga un campo aperto cercando di allargarne ulteriormente i confini. La mia cura è stata quella di trovare nuove domande cui provare a rispondere. Né io né gli artisti con cui ho dialogato – Marco D’Agostin, Giorgia Ohanesian Nardin, Irene Russolillo, Andrea Costanzo Martini, Davide Valrosso, Ginevra Panzetti, Enrico Ticconi, Francesca Foscarini e Camilla Monga – abbiamo cercato risposte, ma nuove domande e questioni con cui confrontarci.

L’immersione nel mondo delle tracce è un esercizio complesso che determina l’incontro con documenti, memorie, ricordi, affetti e movimenti. La questione della nostalgia è stata la forza motrice di un’esplorazione che ancora non ha smesso di far risuonare, nei miei quaderni, la propria eco.

 Gaia Clotilde Chernetich

Archivio Anno Zero

di Gaia Clotilde Chernetich

Archivio Anno Zero, origine

 

E anche i luoghi della durata non rifulgono di splendore,
spesso non sono nemmeno riportati sulle carte
oppure sono senza nome.

P. Handke, Canto alla durata

 

L’origine di Archivio Anno Zero è in un desiderio che ha preso forma attraverso una lista di parole chiave, una piccola raccolta di concetti che hanno avuto la funzione di guida e di stimolo per tutti gli scambi avvenuti durante il percorso. Il progetto è nato a seguito della proposta da parte degli artisti associati VAN di pensare, insieme, a una forma di archivio che potesse allo stesso tempo testimoniare della continuità della loro attività di ricerca artistica e coreografica e interrogare i diversi approcci alle dimensioni temporali e alla loro relazione con la memoria, la trasmissione, l’archivio e tutto lo spettro di possibilità di comunicazione e di relazione di queste nozioni. La sfida posta, inizialmente, riguardava soprattutto l’indagine che è possibile condurre riguardante il rapporto tra l’agire degli artisti, inteso nel senso più ampio possibile perché ampia è la varietà di pratica proposta dagli artisti VAN, e la sedimentazione di elementi derivanti in maniera diretta o indiretta dall’attività di ciascuno. L’archivio come luogo d’azione di un discorso politico, come spazio dedicato alla memoria e, secondariamente, come luogo di legittimazione è stata una prospettiva che, sebbene fosse presente nelle fasi iniziali del progetto, rapidamente si è trasformata. Archivio Anno Zero è stata, piuttosto, una linea di tensione sensibile che si è dispiegata tra opposti; materiale-immateriale, passato-futuro e individuale-collettivo sono effettivamente solo alcune delle possibilità che abbiamo osservato e considerato. Nel corso del suo svolgimento, infatti, il progetto ha affrontato, o talvolta fatto emergere o appena sfiorato, anche moltissime altre dimensioni che hanno avuto il corpo, e la sua danza, come crocevia. L’intimità dello sguardo sul proprio tempo personale e su quello degli altri è stato un oggetto di osservazione condiviso. Forse un po’ inaspettatamente, il progetto si è rivelato disponibile anche per aprire alla possibilità di un discorso sull’economia e sulla scansione del tempo, in relazione al lavoro, al riposo, alla ricerca, alla cura di sé e degli altri. Mi sembra di poter dire che il processo messo in atto ha trasformato l’origine di Archivio Anno Zero in una pratica di osservazione delle origini. Alcuni brevi testi pubblicati precedentemente e un incontro pubblico hanno preceduto questi prossimi paragrafi attraverso i quali tento, ulteriormente, di restituire almeno una piccola parte del processo che mi ha vista coinvolta come curatrice: un percorso di dodici mesi che è proseguito fino alla residenza finale che ha avuto luogo negli spazi di Ateliersi, a Bologna, dal 5 al 9 novembre 2018.

 

 

La prima persona

 

Ho scelto di utilizzare la prima persona in questi testi per provare a liberare il discorso dall’attesa di una prospettiva obiettiva e impersonale. Anche se il mio percorso di studi ha intercettato la questione dell’archivio da più punti di vista, non intendo dare a queste pagine la natura della disamina. Non mi sono avvicinata a Archivio Anno Zero come a un’occasione di analisi di fenomeni già presenti e già studiati altrove. Piuttosto, facendo spazio all’inaspettato ho cercato di mettere in luce gli estremi, i limiti, le periferie più sorprendenti di un discorso che origina nel tema della memoria e della conservazione degli oggetti che si producono nel tempo, certamente, ma che qui cerca di andare al di là di ogni senso di affezione e di attaccamento. Per questo, oggi vorrei che dentro queste parole fiorissero delle possibilità di osservazione di cui io non desidero essere l’autrice, ma il mezzo attraverso cui queste possono affacciarsi al mondo circostante, all’immaginazione di chi legge e di chi, magari, in futuro ascolterà le registrazioni delle nostre conversazioni.

Idealmente, vorrei riuscire a estendere la questione dell’archivio fino a una dimensione sensibile, vorrei poter scrivere un testo a venti mani, le mie insieme a quelle di tutti gli artisti che Archivio Anno Zero l’hanno arricchito attraverso contributi, idee, confessioni, suggestioni, osservazioni, domande e proposte. Senza violare l’intimità di quanto abbiamo condiviso, scrivo per raccontare dall’interno l’intensità e le diverse articolazioni di questa esperienza, come una narrazione che nel frattempo ha continuato a svilupparsi e a dischiudersi, inglobando anche me completamente e diventando, in questo modo, anche mia. Il mio desiderio, quello che mi spinge a prendere la parola, è di venire assorbita nel processo, nella sua traccia, attraverso la scrittura. Per me si è trattato di un processo di immersione, un tuffo dentro una materia sensibile nella quale tentare di scomparire. Forse mi ripeto, ma nella prima persona, in questo io che scrive, seleziona, organizza e cura, non abita l’espressione di un desiderio di maternità nei confronti del progetto, ma la traccia di uno sguardo discreto e quanto più possibile disposto a documentare e a narrare quanto, tutti insieme, abbiamo vissuto. Per me si è trattato, in sintesi, di un percorso di attraversamenti emotivi, tematici e geografici.

Anche in questa occasione sto provando come scrivere sia un mettersi da parte che sottilmente confina con un mettersi al centro: tra questi due poli è attiva una dialettica, quasi un bisticcio, perché mentre affermo di voler scrivere per fare spazio a ciò che non sono io, a ciò che – paradossalmente – io non penso, non posso fare altro che iniziare partendo da me e da ciò che ho osservato e da ciò che sento di poter descrivere. Accetto di sfidare questo equilibrio impossibile così come ho accettato di prendermi cura dei primi passi, del primo anno di questo progetto d’archivio.

Mentre compongo queste parole mi interrogo soprattutto sulla trasparenza che sarò, forse, in grado di dare a queste righe. Scrivendo mi rendo disponibile come mezzo, ho già premesso e promesso, e mi pongo per questa ragione sul limite delle mie possibilità. Allo stesso tempo, però, convivo con il paradosso che ogni parola scelta, ogni frase che si aggiunge alle altre mi allontana, di fatto, dall’essenza di quanto è accaduto e mi posiziona molto chiaramente rispetto al sentire altrui, che potrebbe non essere condiviso. Mi assumo questo rischio, con la speranza che laddove dovesse emergere una divergenza di visione possa apparire una nuova voce, non un conflitto, ma eventualmente una contraddizione. Documentando Archivio Anno Zero si opera, o meglio, opero, e proprio nella scrittura, uno scarto che dalla realtà allontana di un grado ciò che è accaduto, ancora così presente nella sua eco. Questa traccia è per sua natura distante anni luce da quello che tutti insieme ricordiamo, da quello che sappiamo di aver vissuto. Quella che si svolge sulla linea del senso delle parole, e dell’interpretazione, è sempre una complessa battaglia. Se mi venisse domandato di esprimere quello che per me è stato il senso della parola “cura”, in questo contesto, risponderei cercando di illustrare la strada che ho scelto a fronte della necessità di trovare un modo che lasciasse il più inalterata possibile la polifonia delle voci e dei materiali che sono stati creati e che sono entrati in Archivio Anno Zero. Scrivo, dunque, per uscire dalla posizione per certi aspetti “panottica” che ho tenuto durante lo svolgimento del progetto e per tentare di scomparire un po’. Scrivo, quindi, anche per restituire, e soprattutto per passare il testimone. A chi leggerà questi paragrafi, a chi proseguirà questa esperienza sotto altre forme, consegno e in qualche modo assegno la possibilità di far evolvere questo discorso in modo che la prima persona non sia solo la mia, ma possa crescere, trasformarsi.

Per tutta la durata del processo ho cercato di agire in sottrazione, escludendo quanto più possibile la mia voce da quella del discorso che andava generandosi, cercando di non influenzare l’andamento degli incontri, sollecitando e registrando dialoghi che oggi, a distanza di tempo, già tengono traccia di movimenti di pensiero che hanno cambiato forma, spostamenti di focus, silenzi, slittamenti tematici e, naturalmente, danze. Questa strana presenza della mia prima persona resta, in ogni caso, apparentemente tanto necessaria quanto ingombrante.  

 

 

Corpo

 

Archivio Anno Zero ha avuto innanzitutto a che fare con la gestazione, termine appositamente carnale, che qui utilizzo per iniziare a raccontare di qualcosa che ho seguito in un viaggio durato più di un anno. Il movimento di tutto il processo è andato dall’interno verso l’esterno: si tratta di qualcosa che ha iniziato a germogliare dentro di noi segretamente, al riparo, e che, a tempo debito, si è mostrato e si è lasciato guardare, interrogare, celebrare. Emblematica è stata, nella mia percezione, la lieve penombra nella quale, in conclusione della residenza a Bologna, abbiamo deciso di aprire i nostri incontri al pubblico. Non una performance, non una dimostrazione, ma un invito a leggere con noi “Canto alla durata” di P. Handke, sdraiati a terra nello spazio del teatro di Ateliersi, uno alla volta, tutti insieme, per il tempo che ciascuno ha ritenuto necessario.

L’inizio di Archivio Anno Zero è stato un momento di riflessione che, nascendo da conversazioni esplorative e sulla carta di quaderni di appunti, ha avuto bisogno di poter evolvere in qualcosa di incorporato, vivente, che fosse laboratoriale, ma anche scambiabile e aperto a essere attraversato e a essere messo in discussione. Il trasferimento dalla progettazione del pensiero di Archivio Anno Zero alla sua azione è passato naturalmente attraverso la voce, che ho eletto il nostro strumento comune di tracciatura. Come in un progetto di storia orale, ho stabilito una traccia iniziale che fungesse da soglia, un varco di ingresso che aprisse le danze e fosse allo stesso tempo un grado zero del discorso comune, dal quale partire scoprendo, insieme e volta per volta, a quali venti si sarebbe lasciato andare e quali correnti avrebbe incontrato. Ho quindi scelto di registrare l’audio dei nostri dialoghi per fare sì che non solo le riflessioni potessero permanere nel tempo, ma che anche l’emotività che le ha accompagnate potesse avere modo di lasciare una traccia. Seguendo le sue orme, oggi, si possono ripercorrere molte strade. Non vi è stata alcuna separazione tra corpo e voce, in Archivio Anno Zero, così come non si è voluto separare il passato dal presente e, forse, dal futuro. Il mio intento è stato anche quello di separare il meno possibile i documenti, le tracce, le memorie, le parole, i gesti: non abbiamo stabilito una gerarchia tra tutto quello che abbiamo osservato, maneggiato, discusso, pensato, osservato, vissuto. Nei nostri corpi abbiamo cercato di fare spazio, per l’azione ma anche per l’inazione della memoria.

 

 

Luoghi

 

Archivio Anno Zero ha disegnato una geografia di luoghi: Bassano del Grappa, Roma, Parma, Bologna, Longiano e Lucca. Queste sono le città che hanno accolto il progetto nel corso di residenze e festival. Archivio Anno Zero ha viaggiato, ha inseguito la possibilità di ritagliare tempi adeguati dedicati a parlare, ha cercato la possibilità di circoscrivere memorie e, quando le ha trovate, le ha accolte; inoltre, ha invitato all’apertura, al dialogo, al confronto. Archivio Anno Zero ha atteso, negli spazi liberi delle sale prova, ai tavolini dei bar, a teatro; ha preso treni, aerei, autobus, ha camminato a piedi, ha aspettato che fosse giorno, che fosse sera, che fosse notte. Ha danzato, soprattutto.

La dimensione del luogo è stata fondamentale specialmente nella residenza finale presso Ateliersi dove, tutti insieme, ci siamo dati l’opportunità di stare. Stare insieme. Durante i giorni che abbiamo trascorso a Bologna ci siamo accorti che il processo di Archivio Anno Zero ci stava conducendo alla necessità di parlare, confrontarsi, riposare, dormire e leggere insieme: il fare si è trasformato via via, a seconda di quello che abbiamo ritenuto non solo più funzionale, ma anche più giusto. Abbiamo anche accettato di essere stanchi e di usare gli spazi a nostra disposizione per accogliere questo stato del corpo. Abbiamo accolto il pensiero di un tempo che non fosse produttivo in senso stretto, ma che semplicemente fosse una disponibilità, da vivere collettivamente, di qualcosa che stava accadendo anche malgrado noi stessi e malgrado le esigenze del tempo presente.  

Durante i mesi precedenti, lo spazio ha determinato molto spesso le circostanze del dialogo, rendendo eterogenee le modalità di raccolta dei materiali e l’accadere degli incontri. La voce, ancora una volta, è rimasto il nostro filo conduttore.

Nel corso dello svolgimento del progetto sono venute a formarsi due diverse modalità di relazione allo spazio. Una riguarda, appunto, gli aspetti nomadici del progetto e di noi che lo abbiamo realizzato, mentre l’altra riguarda la spazializzazione dei dati raccolti e dei risultati, una questione che è stata affrontata soprattutto nella fase conclusiva della residenza a Bologna.

 

 

Sembianze

 

Che cosa significa mettere insieme, raccogliere in un unico progetto così tante identità diverse e modalità così diverse di approccio alla memoria, all’archivio e al passare del tempo? Marco, Camilla, Andrea Costanzo, Davide, Irene, Francesca, Giorgia, Ginevra, Enrico e me stessa. Nel corso delle residenze, ho portato in giro la costruzione di una memoria condivisa per la quale mi sono resa disponibile come tramite. Ho osservato sui volti di ognuno le reazioni alle domande che, sin dall’inizio, sono sembrate cruciali. Alcune di queste sono state semplici punti di partenza per divagazioni dai contorni sfumati, altre, invece hanno pienamente assunto la funzione di lidi d’approdo. I volti, gli sguardi, le diversità dei corpi, le loro istanze, i loro bisogni, resistenze e alleanze si sono delineate piano piano. A Bologna, nella residenza di novembre 2018, abbiamo tirato le fila del nostro apparire sporadico in luoghi così diversi, distanti nel tempo. Archivio Anno Zero ha catturato, di ognuno di noi, un’immagine fugace dal doppio volto, individuale e collettiva. Oggi tutto questo testimonia del tempo che, sebbene separatamente, abbiamo trascorso insieme. A individuare le continuità e le discontinuità delle nostre sembianze penserà il tempo, per ora sento necessario lasciare semplicemente apparire le possibilità che questo discorso ha generato.

 

 

Memoria

 

Nell’impostare un discorso sugli archivi è nato, contestualmente, un discorso sul tempo nel quale la memoria ha un ruolo chiaramente centrale. Le tre dimensioni – presente, passato e futuro – sono parte integrante dell’archivio inteso come processo e non solo come raccolta eterogenea di tracce di memoria di diversa natura. L’idea non è stata quella di pensare esclusivamente a un modo che preservasse per quanto possibile le tracce dell’agire delle persone coinvolte, come nel caso di un canonico archivio d’artista. Certamente, i materiali sonori che abbiamo raccolto e i racconti che in essi sono custoditi raccontano del presente delle ricerche di ognuno perché queste fanno parte, come materia prima e parte integrate inseparabile, del racconto biografico, ma più in larga scala testimoniano di una postura vitale che si situa nella ricerca d’arte che è, essa stessa, una forma di dialogo approfondito e costante con la memoria.

Il tema della memoria, trasversale, non viene qui piegato a qualsivoglia esigenza di ri-utilizzo della performance, della creazione o della progettualità artistica come strategia-chiave dell’arte contemporanea. Non si tratta nemmeno di organizzare il presente, e la sua capacità di generare memoria, in modo che il passato diventi poi un bacino da cui attingere gesti d’archivio intesi come potenziali nuovi punti di partenza per nuove narrazioni da presentare al pubblico. Non perché queste pratiche siano da escludere in questo contesto, ma proprio perché la dimensione potenziale della memoria è ciò che in Archivio Anno Zero viene messo in luce, cercando di dare valore alla sua sospensione, estraendolo da una dinamica legata alla produttività e alla produzione che a volte arriva fino alla “oggettificazione”. Davanti all’orizzonte dell’archivio inteso come cura della possibilità di ripetizione di ciò che è già accaduto nel tempo passato, abbiamo condiviso una forma di resistenza, e insieme abbiamo osservato una pressione – propria a tutti i fenomeni di ricostruzione (ri-allestimento, re-performance, re-enactment, ecc.) – che non abbiamo desiderato mettere in atto.

La staticità della traccia, che l’archivio vorrebbe raggiungere, chiede alla memoria e alla sua natura dinamica di scomparire dentro l’oggetto nel quale rimane inscritta, qualsiasi sia questo oggetto. La vita postuma della memoria, in Archivio Anno Zero, è nei racconti registrati, il cui contenuto scelgo comunque di non rendere oggetto di questa documentazione, e nella trasformazione dell’approccio al tempo, sperando che questa sia, in fondo, la più duratura delle trasformazioni che questo progetto ha generato.

 

 

Passato-presente-futuro/archivio

 

Come scrivono Paul Clarke, Simon Jones, Nick Kaye e Johanna Linsley nell’introduzione al volume Artists in the archive, archiviare significare dare spazio, ordine e futuro a ciò che deve essere ricordato. Anche secondo questi autori, dunque, archiviare è un atto critico che comporta il fatto e la possibilità  di considerare gli oggetti, e quindi anche i documenti, come potenziali spazi di reiterazione di storie che ancora devono e possono essere completate. In questo senso, guardo ad Archivio Anno Zero come a una narrazione dal finale aperto, non come a una raccolta di oggetti che possono tornare utili in futuro.

Proprio per questo, probabilmente, nel corso del progetto abbiamo messo alla prova la nozione di archivio provando a posizionarla in un discorso anche sul futuro, sfumando il possibile conflitto che esiste tra ciò che accade, nell’estemporaneità delle pratiche artistiche dal vivo, e l’archivio come il luogo dove queste vengono cristallizzate. Quale motore muove lo sguardo dal passato a ciò che ha da venire?

Una risposta è venuta da un sentimento un po’ fuori moda e decisamente romantico: nostalgia. In particolare, inizialmente abbiamo parlato di nostalgia in riferimento a quel versante della riflessione sull’archivio che è orientata verso il passato. La riflessione su questo tema è stata stimolata, per me personalmente, dall’eco di un discorso tenuto dal filosofo Enrico Piergiacomi a Roma durante un evento dell’edizione del 2016 del festival Short Theatre. Facendo luce sulle diverse modalità attraverso cui la nostalgia può manifestarsi abbiamo iniziato a condividere una riflessione sul passato e sull’archivio come luogo di ricerca e di ritrovamento di una spinta che punta al futuro.

Presente, dono, documento: l’archivio di Archivio Anno Zero è una raccolta di testimonianze che ruotano attorno al tema del presente e della sua futuribilità come strumento, o filtro, anche economico che abita dentro le azioni. Guardando al nostro presente, ci siamo sentiti animal laborans, sempre con troppo poco tempo a disposizione, sempre in partenza, sempre nell’eco di ciò che accade. La memoria, di fronte a questa percezione del tempo, diventa quasi un processo autonomo che scorre parallelamente e che segna una distanza.

 

 

Archivio Anno Uno

 

Se ha avuto un esito, Archivio Anno Zero, ha certamente stimolato e favorito la dimensione dell’incontro e ha posto le basi per progettualità a venire che potranno nascere a partire dalle basi di questo primo anno di lavoro. Credo che nel nuovo capitolo di Archivio entri in gioco in maniera più forte la dimensione della durata, intesa anche come creazione di un punto di riferimento: la stessa di cui ha scritto Handke, la stessa – fiduciosa – che abbiamo scovato tra le sue parole. Quel leggero ripetersi della realtà è un motore inesauribile di tempo, di cui è necessario poter continuare a parlare.

 

Il canto della durata è una poesia d’amore.
Parla di un amore al primo sguardo
seguito da numerosi altri primi sguardi.
E questo amore
ha la sua durata non in qualche atto,
ma piuttosto in un prima e in un dopo,
dove per il diverso senso del tempo di quando si ama,
il prima era anche un dopo
e il dopo anche un prima.
Ci eravamo già uniti
prima di esserci uniti,
continuavamo ad unirci
dopo esserci uniti
giacendo cosí per anni
fianco a fianco, il respiro nel respiro
uno accanto all’altra.

 

P. Handke

 

 

Bibliografia minima di Archivio Anno Zero:

 

Assmann, Aleida, Ricordare: forme e mutamenti della memoria culturale, Bologna, Società editrice il Mulino, 2014.

Assmann, Jan, La memoria culturale: scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Torino, Einaudi, 1997.

Deleuze, Gilles, Foucault, Paris, Éd. de Minuit, 2004

Han, Byung-Chul, Il profumo del tempo: l’arte di indugiare sulle cose, Roma, Nottetempo, 2017.

Jankélévitch, Vladimir, Enrica Lisciani-Petrini, L’avventura, la noia, la serietà, Torino, Einaudi, 2018.

Foucault, Michel, Il discorso, la storia, la verità: interventi 1969-1984, Mauro Bertani (a cura di) , Torino, Einaudi, 2001.

———, Il pensiero del fuori, Milano, SE, 1998.

———, L’archeologia del sapere, Milano, Rizzoli, 1999.

———, Le parole e le cose, Milano, Bur, 2016.

———, L’ordine del discorso e altri interventi, Torino, Einaudi, 2004.

Merewether, Charles (a cura di), The archive. Documents of contemporary art, London : Cambridge, Mass, Whitechapel ; MIT Press, 2006.

Miessen, Markus, Yann Chateigné, Dagmar Füchtjohann, Johanna Hoth, Laurent Schmid (a cura di), The archive as a productive space of conflict, Berlin, Sternberg Press, 2016.

Ricoeur, Paul, Anthologie, Michaël Foessel, Fabien Lamouche (a cura di), Paris, Points, 2007.

———, Soi-même comme un autre. Points Essais 330, Paris, Ed. du Seuil, 1998.

———, Tempo e racconto, Editoriale Jaca Book, 1986.

Yourcenar, Marguerite, Archives du nord, Paris, Gallimard, 2003.

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